Enza. Punti di vista,
immagini del Circolo Fotografico “Renato Brozzi”
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RIECCOCI!!!
Dopo una pausa di 3 anni, il Circolo Fotografico “Renato Brozzi-APS” si accinge ad inaugurare la sua mostra autunnale collettiva.
Ricominciamo attraverso la personale interpretazione dei soci della nostra associazione del Fiume Enza e del micromondo che circonda il suo percorso, dall’appennino al Po.
11 autori, 11 visioni, 11 storie
L’esposizione “Enza. Punti di vista” nasce da qui, dalla voglia di ricominciare attraverso le immagini di Cesare Petrolini, Andrea Morini, Bruno Frazzi, Giancarlo Fontana, Francesco Chiastra, Giuseppe Chiastra, Enrico Dalcò, Marco Maggiali, Natale De Risi, Matteo Sandrini, Marco Freschi
Più di 40 immagini per raccontare aspetti curiosi, di vita e di natura di un fiume che separa geograficamente due provincie, ma che in realtà unisce in abitudini che il campanilismo tra parmigiani e reggiani fa spesso dimenticare.
Il periodo di allestimento di “Enza. Punti di vista” sarà dal 14 al 29 dicembre 2024
Senza Punti di vista
Introduzione alla mostra di Marco Freschi
“Senza Punti di Vista!” Esclamazione che potrebbe costituire la laconica conclusione di un giudizio espresso in merito ad un lavoro artistico sottoposto ad analisi, nel quale l’elemento caratterizzante emerso fosse l’assenza di una precisa regia, la mancanza di coerenza del registro espressivo, la difformità nello stile adottato.
In questo lavoro fotografico sul torrente che delimita le due provincie ducali è precisamente l’apparente assenza di un punto di vista inequivocabile l’ingrediente che permette di descrivere in modo definitivo la potenza ancestrale emanata dai corsi d’acqua, in quanto solo con l’adozione di detto espediente – la molteplicità di osservatori – è possibile cogliere l’esplosiva emanazione di energia insita nel loro mutevole istrionismo.
Potenza ancestrale che ritroviamo declinata in pura espressione di bellezza, scaturente dalla natura stessa dei torrenti lungo le periodiche fasi dell’anno solare; come instancabile e implacabile modellatrice delle nicchie ecologiche poste attorno allo scorrere della corrente, nelle quali se l’antropizzazione ha allungato le proprie mani, lo ha potuto fare solo accettando di sottostare alle leggi del corso d’acqua; oppure, ancora, come quinta perfetta per la messa in scena di una commedia, talvolta totalmente estetica.
Allora il gioco di parole è giustificato e la riduzione in “Enza. Punti di Vista” del titolo dell’opera collettiva risulta calzante, di perfetta sintesi. Perché il corso d’acqua protagonista è il Torrente Enza e perché gli autori hanno deciso di approfondire un solo aspetto in ognuno dei quartetti personali che compongono il lavoro, quello che più vedevano come proprio e caratterizzante. Perché la verità è quando ci si rapporta fotograficamente ad un corso d’acqua, ciò che si percepisce come di valore profondo, degno di essere raccontato, non può essere l’espressione stucchevole di un paesaggio che, essendo in continua mutazione, non offre punti di riferimento, bensì la relazione fra il torrente stesso e l’autore medesimo. Ed è quindi capibile come ognuno degli undici autori abbia trovato nel fiume non tanto un soggetto fotografico, ma l’occasione per un’autoanalisi, per osservare con calma la propria personalità. Ciò che scaturisce da questa analisi si è concretizzato infine nella scelta dell’aspetto da sondare e da tradurre in immagini.
Così nei quartetti che ritraggono l’Enza come pura acqua troviamo descritto il fiume nel suo aspetto estetico, ripreso vestito e accessoriato con gli elementi stagionali che ne caratterizzano l’aspetto: il corso d’acqua si anima, si espande e riempie solidamente gli spazi principali dell’inquadratura, brilla di luce propria oppure risplende dei riflessi delicatamente posati sulla sua superficie. Qui è come se l’autore vedesse nella scena un paesaggio trasfigurato in musa rivelatrice, della propria coscienza interiore, del proprio personale sentire l’ambiente esterno all’anima. Una musa da inquadrare come in set di studio, con l’intento di cristallizzare nello scatto un tratto del carattere dell’autore attraverso la personalità della modella, sfruttando la luce come vettore reagente in grado di estrarne l’essenza.
Nei quartetti nei quali il corso d’acqua neppure di vede, ma si percepisce, come a stabilire che il fiume non ha nemmeno bisogno di mostrarsi per far sentire la propria presenza – attraverso il suono del suo scorrere o mediante l’abilità di palesarsi in lontananza con la capacità di canalizzare, modellandola, l’umidità delle nuvole basse – ci troviamo di fronte all’autore che coglie nel torrente l’aurea rarefatta della propria atmosfera, la teatralità del esserci senza farsi vedere. Qui dunque il tema trattato è l’autorevolezza: ciò che conta non è il concreto mostrarsi plastico, bensì l’eco della propria storia, del proprio vissuto; solo un alieno avrebbe bisogno di vederlo – il fiume – per convincersi della sua presenza, mentre un qualsiasi essere umano lo sente a chilometri di distanza.
Altri progetti indagano il rapporto fra il corso d’acqua e gli elementi antropici. Qui è interessante vedere, almeno in primo luogo, come la differente sensibilità degli autori che si sono approcciati a sviluppare questo tema si sia tradotta nell’adozione di un differente registro espressivo: allorquando l’autore stesso decide il peso e l’invasività con i quali l’elemento umano entra nel fotogramma. Alcuni fotografi vedono la situazione di presenza umana o del manufatto artificiale come un tratto costitutivo della scena, perfettamente inserita o inseribile – rocche e castelli in simbiosi con il torrente o luoghi per rassicuranti passeggiate ai bordi del fiume; altri come un corpo estraneo, il cui palesarsi lungo il corso risulta fastidioso e la sua descrizione ostile – come nei quartetti di registro stretto che ritraggono particolari di oggetti lasciati nel greto; altri ancora come un contrappunto, un tratteggio armonioso che si adagia alle spire della corrente, come nei bagnanti in cerca di frescura che ritmicamente si distendono lungo il corso dell’Enza nelle fotografie di Bruno Frazzi, in un caldo bianco e nero poco contrastato che trasuda tutta la calorosa afa estiva del momento di scatto. Notevole risulta, altresì, in questi quartetti, la lettura della sequenza proposta: altro espediente espressivo attraverso il quale viene suggerita all’osservatore una narrazione suggestiva, per la quale involontariamente il medesimo è portato ad assistere – e ritenere del tutto plausibile – la trasfigurazione dell’elemento umano in elemento antropico o viceversa. Personaggi che si trasformano in pile di ponte e viceversa. Solo apparentemente il fiume in queste fotografie perde protagonismo, in quanto ciò che si vede o si percepisce non può essere possibile, verosimile o plausibile se non proprio perché il torrente è fatto in quel modo in quel tratto topografico, si agghinda con quello stile in quel luogo geografico, consente il verificarsi di quella scena in quel determinato contesto orografico. In questi settori della mostra c’è anche chi ha colto e descritto un aspetto binario della natura fluviale quando incontra quella predatoria dell’uomo: il torrente per sua natura erode il proprio corso secondo le leggi inossidabili della geologia, per le quali prima trasporta materiale solido raccolto dai rilievi, poi lo distende, infine lo modella auto-consumandolo, ironicamente senza tuttavia auto-consumarsi esso stesso. Nelle fotografie di Giuseppe Chiastra viene raccontato un torrente, non necessariamente ripreso nel suo scorrimento acqueo, modellato dall’uomo al fine di sfruttarne le risorse: frantoi, pioppeti, opere di difesa spondale sono esempi di interferenza antropica quasi didascalici.
Eppure queste situazioni ci vengono rappresentate come se fossero frutto del medesimo processo modellatore della natura torrentizia delle aste fluviali. Un processo impetuoso nei tratti più prossimi alle sorgenti, con la corrente che sommerge l’opera di regimentazione o modella la duna artificiale di ghiaia, più disteso nei distretti pianeggianti, nei quali troviamo il ripetitivo stagliarsi di elementi naturali come gli alberi, ma il cui schema di messa a dimora tradisce la mano plasmatrice dell’uomo nella sua geometrica attitudine pianificatoria.
Infine c’è chi ha scelto di descrivere il torrente – e un po’ se stesso – come la scenografia ironica – e autoironica – della commedia umana. Lo stesso effetto modellatore della corrente che ad una scala più ampia non accetta che vi siano linee nella morfologia del suo corso se non quelle curve, in scala più ristretta non ci sia forma più ricorrente se non l’ovoide, nei massi e nei ciottoli che compongono l’alveo stesso nel quale scorre; lo stesso effetto plasmatore del fiume che rende sinuoso, a tratti procace, il paesaggio all’occhio che ne scruta il defluire da distanza e ne coglie il senso estetico primitivo; Enrico Dalcò provocatoriamente inserisce l’elemento estetico-sensuale come mezzo descrittore di tale ancestrale, subliminale carattere del torrente: Enza è sexy. La sensualità per sua natura è fluida e ritmica, come fluido e ritmico è lo scorrere dell’acqua sotto l’effetto gravitazionale e fluida e ritmica è la corrente d’aria che lo scorrimento acqueo trascina con sé verso la promessa di un’accogliente foce. Ma ancora più ironica è la messa in scena della commedia, a tratti tragica, recitata dagli affezionati dell’abbronzatura, i quali trovano nella sassaia l’habitat perfetto per la propria rosolatura. La caratteristica che attira al fiume questi personaggi non è la bellezza amena del sito, la tranquillità estiva dell’alveo, sostenuta dalla dolce colonna sonora dello scorrere acquoso, la promessa di una spensierata giornata nella natura e nella frescura, bensì l’effetto catalizzatore sul tessuto dermico garantito dalla ridondante riflessione solare del greto. La presenza dell’acqua pare essere solo l’optional rigeneratore al quale questa categoria di bagnante ricorre a intervalli regolari, fra le sessioni di esposizione ai raggi solari. Ed in effetti l’autore rilega la presenza della parte liquida del fiume ai margini del fotogramma, per concentrarsi sarcasticamente sul protagonista della piece. Impiega un registro grafico che, enfatizzando gli sgargianti colori dei costumi e delle attrezzature, ne amplifica il contrasto nell’inserimento nel contesto naturale. Il punto di vista è innaturale, quasi fastidioso. Tutte le immagini sono tratte da posizione zenitale rispetto al soggetto, per scoprire poi, grazie all’analisi della proiezione delle ombre sul greto, che si tratta dei ponti che collegano le due provincie. L’autore dunque si sovrappone magistralmente, nella scelta dal punto di ripresa, alla direzione dalla quale proviene ciò che attrae il suo soggetto nel fiume – il raggio solare – e ne ribadisce lo scopo – posizionarsi fra i bianchi e riflettenti sassi, il più vicino possibile al parcheggio dell’auto.
Galleria immagini
PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE
Sabato 14 dicembre, ore 16,30.
Inaugurazione della mostra. A seguire buffet.
Orari di apertura della mostra:
Sabato, Domenica: 9,30-13,00 / 16,00-19,00
Sono possibili visite su prenotazione in orari differenti.
Si ringraziano le realtà che ci sostengono nell’iniziativa:
Comune di Traversetolo – Assessorato alla Cultura